Il tema dei cambiamenti climatici rientra negli interessi di molti paesi, in quanto dalle variazioni del clima conseguono trasformazioni delle attività umane e dell’assetto del territorio. Pertanto, da diversi decenni, la maggior parte dei paesi industrializzati ha accettato di autoregolamentarsi e di stipulare accordi diretti a frenare gli effetti diretti ed indiretti che il clima può produrre sull’ambiente, la salute umana e l’economia. Oggi, infatti, la maggior parte degli Stati mondiali, prevalentemente quelli a forte industrializzazione hanno tutto l’interesse a che siano attuati interventi di sostegno alla ricerca, sia favorita la diffusione e la circolazione delle informazioni, ma anche l’utilizzo di processi e produzioni sostenibili, per poter così ridurre in modo significativo i condizionamenti del clima, ed evitare un danno all’ecosistema che potrebbe essere irreparabile.
Così, nell’esigenza di sostenere gli interessi di sicurezza e tutela ambientale l’Unione europea ha fatto ricorso ad una serie indefinita di atti e disposizioni, emanate in seguito alla Strategia Tematica sull’Inquinamento Atmosferico contenuta nella Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 21 settembre 2005, che è una delle sette strategie tematiche previste dal Sesto Programma d’azione per l’ambiente del 2002, ed è la prima strategia ad essere stata formalmente adottata dalla Commissione.
Trattasi di una strategia nata in seguito alle ricerche effettuate nell’ambito del programma «Aria pulita per l’Europa » (Clean Air For Europe — CAFE) e dei programmi quadro di ricerca successivi, condotti con lo scopo di « raggiungere livelli di qualità dell’aria che non comportino rischi o impatti negativi significativi per la salute umana e per l’ambiente », e quindi per l’esigenza di affrontare le conseguenze negative generate dall’inquinamento atmosferico, che dovrebbero essere arginate entro il 2020.
A quanto sembra però, l’inquinamento dell’aria con emissioni maleodoranti soffre di una percezione distorta del problema da parte della popolazione, nel senso che il “puzzo” è considerato dai cittadini l’ultimo dei problemi ambientali.
Non facendo (la popolazione) pressione sistematica sul mondo della politica, lascia la salubrità dell’aria nelle mani dei tecnici a livello locale, per i quali la legislazione ambientale rappresenta un costo.
Negli studi promossi per il monitoraggio dell’inquinamento olfattivo si è passati dallo studio della “Misura della concentrazione di odore mediante olfattometria dinamica: valutazione delle modalità di prelievo e conservazione dei campioni” (Relatori Prof. Leonardo Tognotti e Dott. Fabio Di Francesco), correva l’anno 2003/2004, allo “Sviluppo di una metodologia integrata per la valutazione della molestia olfattiva. Applicazione al caso della discarica di Legoli, Comune di Peccioli (PI)“, (Relatori Prof. Leonardo Tognotti, Dott. Fabio Di Francesco, Dott. Carlo Grassi), correva l’anno 2004/2005.
Quindi, che cosa si può dire a riguardo della costruzione delle discariche? Come si può non inquinare l’aria, dal punto divista “meramente” olfattivo, cioè quel bene pubblico per eccellenza, gratuito e liberamente accessibile? Ed è una puerile tautologia sostenere che il crescente interesse dell’uomo “verso la qualità dell’ambiente e della vita ha portato a riconoscere gli odori molesti come inquinanti atmosferici a tutti gli effetti” perchè l’odore o, piuttosto e meglio, la percezione olfattiva individuale, ha costituito per la specie umana il suo strumento salvifico. L’uomo guidato dall’odorato si accoppia, si nutre, si disfa dei cadaveri della sua specie ed altre specie, e se non può, li sottopone a trattamenti per prevenirne lanaturale alterazione.
Eppure chi avrebbe mai detto che “Sebbene all’impatto olfattivo di sorgenti connesse con attività di gestione dei rifiuti non sia quasi mai associato un reale rischio tossicologico-sanitario, sia per la natura raramente pericolosa degli odoranti che per le concentrazioni generalmente molto basse, nell’immaginario collettivo, ai cattivi odori si associano spesso condizioni di “non salubrità” dell’aria” tra le due, cioè che sebbene l’odore prodotto dalle dicariche non sia indice di un reale rischio tossicologico-sanitario, nè di insalubrità dell’aria, il male minore sarebbe stato un’apertura di credito alla loro indiscriminata costruzione. Ed infatti se facciamo una chiosa a margine della mappa del nostro territorio, un fazzoletto di terra di 20 kmq, delimitato dai comuni di Peccioli, Terricciola e Pontedera, registriamo un primato di 4 discariche. Insomma, per continuare sul profilo colto delle citazioni bibliografiche, non possiamo che finire per essere associati alla grigia figura del “Raccattasudicio” di Vasco Pratolini in “Cronache di poveri amanti”.
Ed infine, se “dallo studio è emerso che le emissioni odorigene dell’impianto interessano un’area limitata di raggio pari a circa 5 Km, con effetti di entità medio-bassa sui centri abitati presenti nell’area di riferimento” (: A.D. 2005) di fatto la delegazione pentastellata che il 14/03 si è recata in “gita” alle discariche di Legoli e La Grillaia di Chianni, ha lamentato profondo e comune malessere dall’averne respirato codeste emissioni.
Pertanto, vorremmo far valere la sentenza 12019 della Corte di Cassazione che seppur confermando che in materia di odori non esiste una normativa statale che fissi delle soglie, il criterio di riferimento deve restare quello della “stretta tollerabilità”!
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