ISDS, la (in)giustizia privata delle corporations
Il mandato negoziale per il Ttip, che i governi europei hanno affidato alla Commissione, comprende uno strumento in grado di limitare fortemente le politiche sociali e ambientali degli Stati membri. Si chiama ISDS (Investor-to-State-Dispute –Settlement: risoluzione delle controversie tra Stato e investitore) ed è una clausola tipica dei trattati bilaterali sugli investimenti. Permette alle multinazionali di portare in tribunale un governo che – attraverso l’introduzione di regolamenti più restrittivi a tutela dell’ambiente o dei diritti sociali – dovesse minacciare i loro profitti, reali o attesi che siano.
Come funziona l’ISDS
I governi europei potrebbero presto vedere le proprie leggi nazionali che proteggono l’interesse pubblico (dalla salute all’ambiente) messe in stato di accusa in tribunali internazionali privati e semisegreti – le cosiddette corti di arbitrato commerciale – in cui le leggi e la politica nazionale non hanno alcun potere di intervento. Questi tribunali sono composti da collegi di tre membriscelti volta per volta da una lista ristretta di avvocati privati. Ciascuna parte nomina il proprio difensore, pagato 700 dollari l’ora, o anche di più, e quindi entrambe convengono sulla scelta del giudice. Chi svolge il ruolo di difensore dell’investitore in un processo può indossare i panni del giudice in quello seguente, anche in udienze che procedono parallele. Una simile prassi dà luogo a palesi conflitti di interesse, quasi sempre a vantaggio delle corporation. Il processo di svolge a porte chiuse, senza controllo pubblico. La maggior parte delle udienze ha luogo presso l’ICSID, il Centro internazionale per il regolamento delle controversie sugli investimenti. Si tratta di un’istituzione del Gruppo della Banca mondiale, fondata nel 1966, con sede a Washington. Un numero più ridotto finisce davanti all’UNCITRAL, la Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale, nata anch’essa nel ’66 e cooperante con la WTO. Non esiste possibilità di appellarsi alla sentenza del giudice, che dalla sua valutazione esclude qualsiasi impatto sociale-ambientale dell’operato dell’investitore. Si concentra sul dare risposta ad un’unica domanda: tramite il provvedimento impugnato, lo Stato potrebbe davvero ledere i profitti dell’investitore? Il contesto non conta, e non conta se il governo ha scritto quella legge per difendere l’ambiente, la salute o il lavoro.
L’impatto del fenomeno
In tutto il mondo le élites economiche e finanziarie sono riuscite ad includere tali meccanismi di risoluzione delle dispute tra investitori e Stati in diversi accordi commerciali sugli investimenticon il fine di reclamare grandi somme di denaro come indennizzo per l’applicazione di leggi adottate democraticamente per proteggere l’interesse pubblico. La pura minaccia di un ricorso al tribunale di arbitrato internazionale è stata sufficiente per far abbandonare più di una proposta di provvedimenti cautelativio per convincere un governo ad abbassare gli standard vigenti. In alcuni casi i tribunali hanno garantito miliardi di dollari alle multinazionali che hanno fatto ricorso, soldi prelevati dai governi, e di conseguenza dalle tasche dei contribuenti. Emblematico il recente caso mosso dalla Philip Morris contro i governi di Uruguay e Australia nell’ambito degli accordi bilaterali di libero scambio tra questi Paesi e gli Stati Uniti. La multinazionale ritiene, infatti, che l’obbligo di inserire annunci espliciti sui rischi per la salute sopra i pacchetti delle sigarette venduti in quei Paesi, impatti negativamente sull’efficacia di comunicazione del marchio. Un fatto che porterebbe, secondo Philip Morris, alla perdita di quote di mercato, e dunque di profitti potenziali. Per citare un caso che ha visto coinvolta un’impresa italiana, recentemente l’Impregilo si è rivalsa con successo contro il governo dell’Argentina per 21 milioni di dollari, ritenendo di essere stata danneggiata dal governo nella gestione privata del servizio idrico di Buenos Aires (l’accordo bilaterale sugli investimenti in vigore tra Italia ed Argentina prevede infatti un meccanismo privato di arbitrato investitori contro governi). In particolare, il governo argentino aveva rinegoziato i termini della concessione idrica data all’Impregilo a causa delle mutate condizioni sopraggiunte nel paese con la gravissima crisi finanziaria ed economica del 2001, sulla base di alcune clausole previste nel contratto ma contestate dalla multinazionale italiana. Guardando avanti, ciò significa che ad esempio, con l’accordo TTIP in vigore, la multinazionale francese GDF-Suez – che ha una quota di proprietà in Acea a Roma – tramite una sua controllata con sede negli Usa potrebbe fare con successo ricorso contro il governo italiano, qualora il Comune volesse togliere la concessione ad Acea o addirittura ripubblicizzare la società.
Qualche dato sull’ISDS
Nel mondo si sono svolte già 514 dispute di questo tipo, ben 58 aperte nel solo 2012. Si sa anche di altre cause, che però non sono state rese pubbliche. Circa il 64% delle dispute (329 casi) sono state promosse da imprese europee e statunitensi. Ad oggi, 15 paesi europei sono già stati attaccati in almeno una di queste dispute. Un terzo dei ricorsi si è chiuso a favore delle multinazionali e un altro terzo circa è finito con un patteggiamento, in cui i governi hanno dovuto fare concessioni economiche o normative. Quindi nella media di due casi su tre i governi perdono qualcosa contro le multinazionali. È importante ricordare che più della metà degli investimenti esteri diretti nell’Unione europea provengono da imprese statunitensi.
La nascita del “mostro”
L’ISDS è nato nel dopoguerra per idea della Germania, intenzionata a tutelare gli interessi delle sue imprese in Pakistan. La giustizia di quel Paese non garantiva ai tedeschi di dormire sonni tranquilli, che hanno chiesto e ottenuto di appellarsi – in quanto investitori esteri – a un tribunale terzo e sovranazionale, per timore di non sapere a chi rivolgersi in caso di espropriazioni indebite da parte del governo pakistano. Lo strumento è stato pressoché inutilizzato fino a qualche anno fa, ma poi si è evoluto/involuto quando le imprese hanno capito che, estendendo il concetto di “espropriazione”, si poteva intentare causa agli Stati per qualsiasi decisione sgradita, ottenendone spesso la revoca o un indennizzo. Studi legali specializzati in arbitrato commerciale sono sorti come funghi, con la prospettiva di fare business aiutando le corporations a sottrarre risorse o potere ai governi. Il business è talmente grosso che questi studi non esitano ad anticipare le spese processuali alle imprese, dietro l’accordo di intascarsi fino all’80% dell’indennizzo estorto allo Stato in caso di successo.
I rischi di un ISDS nel TTIP
La Commissione europea ha proposto l’inserimento, nel negoziato sul TTIP, di un meccanismo di risoluzione delle dispute tra investitori e Stati. Esso permetterebbe alle multinazionali statunitensi che investono in Europa di aggirare ogni corte nazionale o europea e accusare direttamente i governi europei presso i tribunali privati internazionali ogni volta che ritenessero le leggi in materia di salute pubblica, ambiente e protezione sociale interferenti con i loro profitti. Le multinazionali europee che investono negli Stati Uniti godrebbero dello stesso privilegio a discapito dell’amministrazione USA.
Esiste dunque una concreta possibilità che si verifichino molti casi in cui imprese statunitensi richiederanno indennizzi ai governi europei da pagare con i soldi dei contribuenti.
Come dichiarato dai rappresentanti della Chevron, infatti, “la società vede la protezione sugli investimenti come uno dei più importanti temi globali”, motivo per cui sta spingendo i negoziatori del governo Usa ad includere il meccanismo di risoluzione delle dispute investitore-Stato nell’accordo TTIP. Tale clausola era il cuore dell’accordo Mai (Multilateral Agreement on Investment), proposto alla fine degli anni ’90 e bloccato dall’opposizione popolare in Europa e Stati Uniti.
Quale alternativa?
Gli investitori stranieri, qualora ritengano che i loro diritti siano stati violati dagli Stati europei, dovranno rivolgersi solamente alle corti nazionali, ed eventualmente alla Corte europea di giustizia, così come possono fare tutte le altre società ed investitori nazionali. Inoltre i governi dovranno mantenere la loro sovranità nel decidere di modificare le leggi per fini di interesse pubblico, anche se questi cambiamenti potranno andare a scapito dei piani di investimento futuri di imprese private. Come, infatti, sancito dall’articolo 41 della Costituzione italiana, «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».